IL PESSIMISMO
materie:filosofia,italiano,inglese.
FILOSOFIA
In filosofia con il termine pessimismo, si indica una dottrina o un pensiero che vede la realtà fondata sul male e sul dolore,e che concepisce la vita come infelicità.Nel trattare questo tema ho deciso di affrontare il pessimismo nel filosofo Schopenhauer, nel poeta Leopardi e nello scrittore Thomas Hardy .
ARTHUR SCHOPENHAUERIl filosofo che ebbe una visione pessimistica del mondo e che la introdusse nella cultura occidentale fu Arthur Schopenhauer,un pensatore romantico, che visse a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, contemporaneo a Hegel, ferocemente criticato per la sua filosofia troppo pomposa e che vuole regolamentare tutto, a tal punto che venne considerato un “sicario della verità”.Il pensiero schopenhaueriano eredita influssi di molte correnti filosofiche eterogenee, prime fra tutte il pensiero orientale, il pensiero di Kant e quello di Platone.Il punto di partenza per la sua filosofia è la distinzione, propria in Kant, tra fenomeno e noumeno, cioè l’aver teorizzato che la realtà fosse costituita da un mondo fenomenico e uno noumenico.A differenza di Kant, per Schopenauer il fenomeno non riguarda la realtà, ma soltanto una parvenza che, simile al "velo di Maya" di cui parla la filosofia indiana, copre la realtà vera, che costituisce la cosa in sé. Di conseguenza, la conoscenza della realtà, essendo mediata da un velo, non può essere una conoscenza oggettiva, veritiera, ma diventa una sorta di rappresentazione e di illusione.Il noumeno anche per Schopenauer riguarda una “conoscenza intellettuale”, che appartiene solo a Dio e che non può essere conosciuta dall’uomo, ma a differenza di Kant, può essere vissuta. Per squarciare il velo del fenomeno e per arrivare ad una dimensione noumenica, l’uomo deve ripiegarsi su se stesso, deve rendersi conto che l’essenza del proprio essere è la volontà di vivere, l’impulso che spinge a vivere ed ad agire, che Schopenauer considera come radice noumenica, non solo dell’uomo ma di tutto l’universo, e di tutti gli esseri viventi.La volontà, essendo tutto ciò che non è fenomeno, non è caratterizzata dalle forme a priori della rappresentazione: spazio, tempo e causalità.Schopenhauer definisce la volontà come un’ energia alogica e irrazionale, essa è inconscia, unica, eterna, incausata e senza scopo.Ed è proprio la volontà di vivere l’origine del pessimismo nel pensatore, poiché volere significa desiderare, e desiderare, significa trovarsi in uno stato di tensione e di bisogno, per la mancanza di qualcosa che non si ha e che si vorrebbe avere, quindi la volontà risulta essere mancanza e sofferenza, e di conseguenza la vita, caratterizzata dalla volontà, dolore.Il piacere, argomenta Schopenhauer, come aveva già sostenuto Leopardi, è solo qualcosa di momentaneo e deriva da una cessazione di uno stato precedente di tensione o di dolore.Accanto al dolore che è una realtà permanente, che accompagna l’uomo in tutta la sua vita , e al piacere, che è qualcosa di momentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione esistenziale, la noia, che subentra quando viene esaudito un desiderio. Egli afferma che la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere.Poiché la volontà di vivere si manifesta in tutte le cose, il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma ogni creatura dell’universo, tutto soffre; l’uomo soffre di più, semplicemente perché egli, avendo maggiore sensibilità e consapevolezza rispetto alle altre creature, è destinato a patire maggiormente l’insoddisfazione dei mali e il dolore della realtà. Arriva così Schopenhauer ad una delle più radicali forme di pessimismo cosmico, ritenendo che il male non sia solo nel mondo, ma nel principio stesso da cui esso dipende.Schopenhauer giunge anche a criticare le varie “menzogne” o ideologie , con cui gli uomini tentano di nascondere a sé stessi qualche dato negativo della vita o del mondo; uno dei bersagli preferiti della sua polemica risiede nell’ottimismo cosmico, in quel tipo di pensiero che interpreta il mondo come un organismo perfetto, governato da un Dio (religione) oppure da una ragione immanente(Hegel).Questa visione per il filosofo tedesco, risulta palesemente falsa, poiché la realtà è per principio irrazionale, illogica; il panlogismo hegeliano risulta così essere una menzogna cosmica, come lo è la religione.Significative queste frasi, tratte da Il Mondo come Volontà e Rappresentazione:
“Se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l’occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch’egli con l’intendere di quale sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo mondo reale? E nondimeno n’è venuto un inferno bell’ e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un’impresa siffatta.”
“A diciassette anni, ancora privo di ogni cultura, fui colpito dalla miseria della vita così profondamente come Buddha nella sua gioventù, quando vide per la prima volta la malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte. La verità che nel mondo mi parlava chiaro e tondo ebbe presto il sopravvento sui dogmi ebraici che mi erano stati inculcati; e la mia conclusione fu che questo mondo non poteva essere l’opera di un ente assolutamente buono(…)Se un Dio ha creato questo mondo , io non vorrei essere Dio; l’estrema miseria del mondo mi strazierebbe il cuore(…)Verrà un tempo in cui la dottrina di un Dio come creatore sarà considerata in metafisica, come ora, in astronomia, si considera la dottrina degli epicicli”.
Emerge chiaramente come Schopenhauer concepisca la vita sostanzialmente come dolore; di conseguenza si potrebbe pensare che l’unico metodo per uscire da questa dimensione di sofferenza, sia il suicidio, che invece il filosofo rifiuta e condanna per due motivi di fondo: da un lato perché costituisce un atto di forte affermazione, e non di negazione, della volontà; una persona, suicidandosi, non confuta la volontà ma la vita stessa, dall’altro perché il suicidio eliminando unicamente l’individuo, lascia intatta la cosa in sé, che pur morendo in una persona, rinasce in mille altri, come il sole che , appena tramontato da un lato, risorge dall’altro.L’unico metodo per liberarsi da questa dimensione di dolore umano è costituito dalla noluntas, ossia prendere coscienza del dolore e dell’inganno di fronte alle illusioni dell’esistere; da essa nascono tre vie di liberazione: l’arte, la pietà e l’ascesi.L’arte libera l’uomo dalla volontà, ma in una maniera temporanea, non si tratta di una forma di liberazione definitiva, ma intermittente; essa è considerata una via di liberazione, perché l’individuo, con una rappresentazione artistica può entrare in contatto con le idee nel senso platonico, cioè con forme pure ed eterne, alle quali la realtà e la volontà si ispirano. L’arte risulta liberatoria, in quanto l’uomo, grazie ad essa, più che vivere, è in grado di contemplare la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo, quindi al di sopra della dimensione umana.La pietà è un sentimento, concepito come via di liberazione, poiché nasce dal tentativo di superare l’egoismo proprio dell’uomo, e di vincere la lotta incessante fra gli individui. Grazie alla pietà la persona non agisce più, mettendo al centro il proprio ego, ma riesce a compatire il prossimo in una forma di fratellanza, uscendo dalla volontà.La via di liberazione più “efficiente” e che porta quindi ad una liberazione totale è però l’ascesi, uno stadio in cui l’uomo decide di estirpare qualsiasi desiderio e qualsiasi bisogno, grazie al quale riesce a sopprimere e eliminare interamente la volontà di vivere. In questa dimensione l’uomo diviene libero, ed entra in quello stato che i Cristiani chiamano grazia; essendo ateo, Schopenahauer teorizza che la conclusione del cammino ascetico sia invece il nirvana, di cui parla la filosofia orientale e buddista, un paradiso o una pace interiore e perpetua, che rappresenta una negazione del mondo, dato che esso è governato dalle leggi della volontà di vivere.
ITALIANO
GIACOMO LEOPARDIMolti sono i punti di contatto tra Arthur Schopenhauer e il poeta italiano Giacomo Leopardi riguardo alcuni aspetti della loro concezione esistenziale, nonostante si tratti di due esperienze intellettuali diverse, collocate in contesti storico-culturali differenti; anzi è proprio il filosofo tedesco a citare il recanatese, manifestando grande considerazione nei suoi confronti per come sia riuscito a rappresentare in maniera profonda il dolore.L’origine del pensiero nel poeta appare determinata da una progressiva presa di coscienza della propria infelicità, un’ infelicità legata in primis ai primi anni della sua vita , all’atmosfera affettivamente carente della sua famiglia, a un’ educazione autoritaria e severa, impartita dalla madre bigotta e fredda, e alla sua formazione isolata e solitaria, autodidatta, voluta dallo stesso Leopardi, il quale decise di trascorrere “sette anni di studio matto e disperatissimo”.Lo studio così assiduo contribuì al sorgere di diverse malattie croniche e alla malformazione fisica, che compromisero irrimediabilmente la sua salute, e da un lato la derisione dei concittadini, e dall’altro la mediocrità e la scarsa cultura dell’ambiente recanatese non migliorarono di certo la condizione infelice del poeta.In questi anni di studio senza limiti, egli si dedica alla filologia, impara da solo il greco e l’ebraico, traduce poeti e scrittori latini, e compone grandi opere di compilazione.È il 1816, l’anno in cui la sua vocazione si fa sentire, l’anno che lui stesso chiamerà “dall’erudizione al bello”, in cui compone liriche, si dedica all’attualità, affrontando la polemica tra classici e romantici, e da avvio ad un diario d’eccezione, lo Zibaldone, destinato a raccogliere riflessione e appunti di vario genere.Sono questi gli anni della prima stagione poetica di Leopardi, che affonda le radici nel pessimismo storico e che ripensa all’antichità come età poetica per eccellenza, irraggiungibile dall’uomo moderno. Il poeta respinge le ideologie ottimistiche e le utopie del suo secolo, rimpiange un mondo mitico di nobili virtù e valori incorrotti, e si scaglia contro i miti dell’Ottocento , un secolo in cui la filosofia di Hegel esalta la realtà come ragione, alla quale concezione, il letterato si oppone con forza, affermando che la storia non è progresso,ma al contrario regresso dal primitivo stato di natura perfetto, allo stato di civiltà corrotto e decadente.La ragione, tanto amata da Hegel, si configura come madre della società e della civiltà e quindi come distruttrice del mondo primitivo.A partire dagli anni del cosiddetto “silenzio poetico”, Leopardi,continuando ad analizzare le cause dell’infelicità umana, osserva che l’individuo è ostacolato dalla propria debolezza e, come ogni altro essere vivente, è subordinato al ciclo della natura; l’altro limite è costituito dall’impossibilità di essere felici, o meglio, dalla teoria leopardiana del piacere, secondo la quale il piacere non esiste, anzi esiste solo come desiderio, speranza, immaginazione, quindi come qualcosa di astratto e di non raggiungibile. Esistono manifestazioni del piacere,momentanee e passeggere, intese come cessazioni del dolore. L’esistenza si configura quindi come qualcosa di penoso e doloroso, dato che l’uomo, per natura, cerca sempre il piacere, ma non può accontentarsi del piacere che trova, poiché è un piacere finito, egli è pertanto destinato a cercare il piacere in qualcosa di più alto e di infinito, che non troverà mai, perché esso sfugge sempre. Il raggiungimento del piacere momentaneo, coincide con quello della noia, e allora come per Schopenhauer, la vita oscilla inevitabilmente tra il dolore e la noia.
Significativi questi versi, tratti da La quiete dopo la tempesta, in cui si delinea la teoria leopardiana del piacere.
La quiete dopo la tempesta.(vv.33-34/45-50)
“Piacer figlio d’affanno;Gioia vana ch’è fruttoDel passato timore(…)……Uscir di penaÈ diletto fra noi.Pene tu spargi a larga mano; il duoloSpontaneo sorge: e di piacer, quel tantoChe per mostro e miracolo talvoltaNasce d’affanno, è gran guadagno.”
Significativi anche questi altri versi, tratti da La sera del dì di festa, e da Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, versi in cui è evidente la concezione pessimistica dell’autore.
La sera del dì di festa (vv.11-15)
“…io questo ciel, che sì benigno Appare in vista, a salutar m’affaccio,E l’antica natura onnipossente,Che mi fece all’affanno. A te la spemeNego, mi disse, anche la speme; e d’altroNon brillin gli occhi tuoi se non di pianto.”
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. 100-104)Questo io conosco e sento,Che degli eterni giri,Che dell’essere mio frale,Qualche bene o contentoAvrà fors’altri; a me la vita è male.
Leopardi conclude che tutto è male, esistere equivale ad essere perennemente insoddisfatti, incontentabili, e a soffrire per la propria fragilità; responsabile di questo male è la natura, vista come causa dell’infelicità umana.Nell’ultimo periodo della sua vita, Leopardi fa registrare una grande svolta, egli supera quella visione negativa e nichilista che aveva maturato negli anni del pessimismo cosmico, per un messaggio positivo nei confronti dell’umanità, ed è proprio qui che risiede la novità del poeta; egli acquisisce un atteggiamento più “relativistico”, fondato sul riconoscimento di un doppio piano della verità, e di conseguenza di una doppia causa del dolore. Secondo il letterato esiste il dolore dovuto all’ “ordine delle cose”, legato all’essenza stessa della vita(malattie, eventi atmosferici, cataclismi..), ed è quindi ineliminable , ed esiste anche il dolore dovuto al “modo dell’esistenza”, cioè alla qualità della vita, questo è un tipo di dolore che può essere combattuto e rimosso, poiché non dipende dalla natura ma dall’uomo stesso. Secondo il poeta, gli uomini tendono a contrapporsi l’un l’altro, per desiderio di affermarsi e per voglia di prevalere, ma in questo modo si giunge solo ad accrescere il grande male di vivere; l’individuo, essendo essere razionale, può dunque controllare gli istinti, che sono antisociali, e produrre valori alternativi come la compassione, la solidarietà e l’amicizia, che invece fondano la società.Similmente a Schopenhauer che ha teorizzato le “vie di liberazione”, nella “Ginestra”, Leopardi argomenta un’etica della solidarietà, concepita come un messaggio indirizzato sia ai contemporanei, sia ai posteri, un messaggio in cui si impone una grande alleanza fra tutti gli uomini e una coalizione contro la matrigna natura. Leopardi si configura quindi come promotore di un progresso sociale, è definitivamente uscito dal mondo dei chiusi affetti e delle illusioni giovanili, aprendo una nuova stagione poetica, definita “eroica”, anche se non bisogna dimenticare però che la lotta contro la natura, a cui Leopardi chiama l’umanità è e rimarrà sempre una lotta disperata, senza un esito positivo; nonostante questo il poeta non si esime dall’invitare gli uomini al superamento del più stretto individualismo per arrivare ad una dimensione più organica, un appello alla cessazione della lotta “fratricida”, per dirigere tutti i colpi non contro un avversario umano, ma contro la natura.Progressimo e pessimismo convivono quindi in quest’ultima fase del suo pensiero,in cui nasce la speranza di una società nuova, costruita con le sole forze umane.La necessità di umana solidarietà si affaccia quale ultima forma di saggezza anche nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, un’operetta morale, incentrata sul tema del suicidio, che si conclude con un’esortazione rivolta da Plotino all’amico:
“Viviamo, Porfirio mio, e confrontiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro: e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente, per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.”
INGLESE
THOMAS HARDYTESS OF THE D’URBERVILLES
The PlotTess is a daughter of a poor country peasant, who learns he is a descendant of the ancient family of D’Urberville. Hearing of a family of the name D’Urberville living in the area, her family send her in Marlott to apply for recognition of kinship.Tess meet Alec, the family’ son, who invites her to work in his property, in which he tries to seduce and rapes her.After running away from Alec, Tess gives birth to a child, who dies soon.She then moves to another valley, in southern Wessex, to start a new life as dairy maid, here she meets Angel Clare, the son of a parson, who has abandoned a church career, to learn farming. They fall in love, but on the couple’s wedding night, the moral prejudices of Angel’s father resurface in him.After Tess confesses to him her seduction by Alec, Angel rejects and abandons her and decides to move to Brazil, and so she is forced to become Alec’s mistress. Angel has a change of heart, and returns to England, where he’s searching for Tess. When Angel finds her, she, now desperately unhappy, and blaming Alec for her loss of Angel a second time, murders Alec to liberate herself. After a period of hiding with Angel near Stonehenge, Tess is arrested, tried and hanged for Alec’s murder.
Features of the novelThe publication of Tess Of The D’Urbervilles caused considerable scandal among more conservative critics and readers who considered the work immoral and pessimistic.Hardy’s novel in its moral openness and human sympathy, stands on the borderline between Victorian realism and 20th century Modernism, and his heroine Tess, like many other characters of Hardy’s novel is a woman who is not of her time, perhaps not of any time. For this reason the critics have suggested that Tess should be considered a “fallen woman”.The novel subtitle, A pure woman, is in fact partly ironic, alluding sarcastically to the Victorian notion of moral “purity” which Hardy found limited.For Hardy, Tess embodies the mystery of woman in her indefinability, the way she never really “is” this or that person, but only “becomes” so through her impulses and through her mental and physical interaction with her surroundings.The novel reflects the influence of Determinism, showing the way in which individuals inevitably succumb to natural laws and economic processes despite their hopes and ambitions.Tess is unprepared for the world she enters. First, she is seduced by the son of the house, Alec D’Urberville, and then abandoned by her husband Angel; both these men represent aspects of society and attitudes that destroy Tess. The indifference of her hostile world is underlined at the end of the novel, when, like a trapped animal, she resorts to violence and rebels against her situation, Tess is arrested by the police at Stonehenge, after having murdered Alec and escaped with her husband Angel. The cold stones of Stonehenge and the dark landscape are expressions of a hostile natural world, where men do not enjoy a privileged position but must, like the rest of creation, struggle for their own survival.
BIBLIOGRAFIA:
"Protagonisti e testi della filosofia" N.Abbagnano, G.Fornero
"Leggere il mondo" C.Segre, C.Martignoni
"Literary Links" G.Thomson, S.Maglioni
“Il mondo come volontà e rappresentazione” Arthur Schopenhauer
Wikipedia
“Il pessimismo agonistico di Leopardi” S. Timpanaro
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)


Nessun commento:
Posta un commento